Intervista a Franco Perona, CEO, Chief Medical Officer di CeMeDi, Centro Medico Visconti, EyecareClinic e Chief Medical Officer di Lifenet Healthcare

Franco Perona
CEO, Chief Medical Officer di CeMeDi, Centro Medico Visconti, EyecareClinic e Chief Medical Officer di Lifenet Healthcare

L’esperienza Covid ha trasformato diversi aspetti della nostra società, mettendo in luce vecchie fragilità e sorprendenti punti di forza. Nella ricerca di un difficile equilibrio, i Sistemi Sanitari da mesi si confrontano con esigenze diverse ed equamente essenziali: di tipo assistenziale e sanitario, ma anche organizzativo ed economico.
Franco Perona, CEO e Chief Medical Officer di CeMeDi, Centro Medico Visconti, EyecareClinic e CMO di Lifenet Healthcare, con il suo ruolo ne rappresenta un punto di incontro.
Dopo aver esercitato sul campo la professione di medico fino alla posizione primariale, ha scelto di dedicarsi al management, forte di un “talento one way” capace di trasferire valore dal mondo di ricerca e medicina a quello dell’impresa.
In questa intervista ci racconta come, grazie alla sua esperienza, ha collaborato nell’emergenza con aziende internazionali per rafforzarne la sicurezza, anche attraverso soluzioni tecnologiche all’avanguardia come quella di Object Detection realizzata da Iconsulting per CeMeDi.
Una gestione strategica in ambito sanitario è oggi un’imperdibile opportunità per coltivare la Medicina di domani, di complessità e precisione, con due alleati: tecnologia e Big Data. La testimonianza più recente? Un vaccino indispensabile per l’intera umanità reso disponibile in pochi mesi, anche grazie alla registrazione dei dati e ai social media che ne hanno agevolato la fase di sperimentazione.

Covid ha messo in discussione l’organizzazione e il day-by-day delle aziende sanitarie di tutto il mondo. Come avete gestito l’emergenza nei centri medici di cui è CEO e Chief Medical Officer? Come si conciliano le necessità sanitarie e quelle organizzative?

A Febbraio era già palese che l’infezione da COVID-19 sarebbe diventata un problema di gravità assoluta e quindi abbiamo ritenuto indispensabili alcuni passaggi organizzativi per assicurare i centri medici e le strutture che si sono rivolte a noi attraverso Lifenet Healthcare.
Mi riferisco a marchi di importanza mondiale che dovevano gestire il razionale di una situazione che non aveva nulla di comprensibile, di un nemico chiaramente più forte in una totale assenza di informazioni scientifiche. È nato quindi il progetto #Backontrack che ha contribuito a identificare le migliori indicazioni e linee guida per rafforzare la sicurezza dei propri dipendenti e dei loro famigliari sia nelle imprese che avevano chiuso la propria produzione, sia in quelle che non avevano sospeso la propria attività. È stato molto semplice coniugare le necessità sanitarie e quelle organizzative per i soggetti che si sono rivolti a noi nella gestione della prima fase COVID-19, quella della paura e dell’incertezza.
Al nostro interno abbiamo analogamente avviato un processo di formazione mirato al mantenimento dell’attività delle strutture sanitarie e, in corso d’opera, abbiamo preparato le strutture sanitarie ad una progressiva fase di normalizzazione, ovvero a un’apertura coerente con le linee guida nazionali e internazionali. Personalmente ho gestito un call center di supporto a tutti i problemi relativi al mantenimento dello stato di salute della popolazione a noi referente. Il secondo passo è stato mettere in atto i primi test scegliendo le modalità opportune, cercando di essere proattivi nella gestione della delicata fase della diagnosi; la nostra priorità a tutt’oggi è essere attenti alla messa in atto della campagna vaccinale.
In un momento così difficile è stato utile approfondire i vari temi. Ricordo ad esempio un report di Giugno 2020 che parlava dei 100 e oltre studi per trovare un vaccino anti COVID-19. Oggi ritengo che la vaccinazione sia uno degli interventi sanitari di maggior successo al mondo, proprio perché salverà milioni di vite ogni anno. Sappiamo che i costi, i conflitti e le esitazioni inerenti al processo di validazione dei vaccini sono gli ostacoli più ricorrenti, ma concordo con l’Organizzazione Mondiale della Sanità: la vaccinazione è fondamentale e insostituibile.
Come CEO sono convinto che il nostro servizio è in grado di rispondere ai bisogni di salute dei pazienti, visto che la centralità della pandemia COVID-19 non ha comunque eliminato i rischi di tutte le altre patologie siano esse infettive, neoplastiche, cardiovascolari o altro, per cui il nostro è stato un semplice dovere professionale in quella che è la catena dell’erogazione dell’assistenza.
Non mi sono mai preoccupato dei ricavi: nelle mie valutazioni serali sapevo che avremmo patito e che tutto questo avrebbe avuto pesanti ricadute. Nonostante questo, in alcune aree abbiamo avuto performance molto forti, abbiamo rispettato i nostri piani strategici e portato a termine l’investimento più grosso di Lifenet nel 2020 nella nostra sede di Milano: la soddisfazione più grande per guardare al futuro.

Dietro al suo attuale profilo di Chief Medical Officer e Chief Executive Officer, c’è un medico che ha lungamente esercitato la professione sul campo. Come è arrivato a ricoprire un ruolo manageriale? Che dialogo intrattengono le sfide sanitarie e le sfide del mercato?

La professione medica è un’arte e una disciplina, diventando medico decidi di dedicarti agli altri, non puoi intraprendere gli studi nella Facoltà di Medicina se non ci sono solide basi morali, di sacrificio e dedizione al bene delle persone: non è retorica, è la realtà.
Per carattere, sono una di quelle persone che tendono sempre a rimettersi in gioco. Non mi sento mai arrivato e non mi accontento, anzi mi pongo nuovi obiettivi. Ritengo di essere stato molto fortunato, nel mio percorso di vita professionale, perché ho trovato chi ha creduto in me e ha voluto aiutarmi nel mio percorso.
Incominciai nel 1982 e ben presto mi resi conto che i miei ideali quasi erano in contrasto con quelle che erano le direttive dettate dall’ istituzione; in quel periodo esistevano i comitati di gestione, le aziende sanitarie erano governate alla politica e mi resi ben presto conto che la capacità di relazione e negoziazione era fondamentale nella direzione di un reparto. Imparai ben presto che il medico doveva obbedire nel contesto di una strategia del miglioramento creata da persone senza cultura medica e che, per non soccombere, la coesistenza con il management era una opportunità e non una sfida.
Restai profondamente medico fino al conseguimento della posizione primariale prima nel sistema pubblico e poi nel privato, ma l’esperienza maturata mi portò a pensare a un ruolo di direzione medica e nel 2007 decisi che era il momento. Mi trovai nell’anno successivo ad arginare una situazione di isteria da produttività con un manager senza visione. Le soluzioni o il consiglio degli altri potevano rappresentare un efficace stimolo al cambiamento, ma questo non mi fece dimenticare di confrontarmi con ciò che intimamente sentivo: la decisione ultima è sempre in noi.
Vorrei sottolineare come avessi imparato a conoscere i miei limiti, ma sentissi anche di avere talento da trasferire “one way”: portare valore dal mondo della ricerca e della medicina a quello dell’impresa.
Decisi che avrei proseguito la mia carriera nel management perché avrei voluto portare un dato umano diverso nei confronti delle persone, posto che sarebbe stato fondamentale aderire a una gestione strategica, concordare con la direzione finanziaria le azioni, capire i numeri e sapersi adeguare ad una cultura non clinica. Nel periodo di aggiornamento all’estero del 2008 imparai a non avere soggezione dei “finanziari” e mi fu chiaro che avendo avuto la vita di un paziente nelle mie mani avevo maturato la piena competenza nel gestire le emozioni e le situazioni più stressanti.
Ho avuto molta fortuna nell’essere sempre a fianco di manager intelligenti che non hanno esitato a trasferirmi le loro conoscenze tecniche; ho potuto imparare e portare il mio stile nella gestione. La più bella esperienza è indubbiamente quella di Lifenet dove si sono verificate situazioni uniche, come potete facilmente immaginare, trattandosi di una nuova attività imprenditoriale legata a un Presidente colto e illuminato, che ha contribuito moltissimo all’affinamento delle mie conoscenze e con cui condividiamo gli stessi principi morali; la sua capacità di performance mentale è poi un motore che non pone limiti alle sfide.
Tutto questo mi permette di lavorare tutti i giorni senza ansie, con dedizione e entusiasmo. Non mi manca la professione medica e non mi manca il mondo dei medici, ho imparato a vivere la sanità diversamente condividendo le performance, valutando le situazioni economiche, gestendo gli investimenti ed ho ridotto la distanza del manager dai medici: mi scuso sempre quando non riesco a dare a tutti una risposta nei tempi minori possibili, perché la richiesta di un medico è una richiesta di salute e noi dobbiamo essere pronti a creare insieme a lui la miglior salute possibile, per tutti.

La ricerca delle migliori tecnologie è uno dei punti forti di CeMeDi, centro medico ambulatoriale e diagnostico all’avanguardia nel panorama nazionale e punto di riferimento per l’assistenza sanitaria dei Gruppi Fiat Chrysler Automobiles e CNH Industrial. Che ruolo affida a dati e tecnologia per la Sanità e quali prospettive future gli attribuisce?

Recentemente (in fase ante 2020) a un gruppo eterogeneo di leader del sistema sanitario in cinque paesi è stato chiesto di descrivere il loro sistema ideale di salute nel 2040. Diverse ricerche messe in campo da vari osservatori e societá di consulenza anche internazionali hanno provato che, al ritmo attuale, la sostenibilità dei sistemi sanitari verrà presto a mancare.
Forse per questo le loro visioni sono risultate notevolmente consistenti in quanto il sistema sanitario preferito del futuro sarà molto diverso dai sistemi sanitari nazionali di oggi, con pazienti che fruiranno di prestazioni preautorizzate in quanto appropriate, modelli di distribuzione delle cure diversi, nuovi ruoli, proliferazione delle parti interessate, innovazione negli incentivi e nelle norme.
Ad oggi in tema di gestione della salute quanto Jim Collins, nel suo testo Good to Great, affermava: “Le persone sono il vostro patrimonio più prezioso” si è rivelato errato. L’impatto globale delle persone sull’azienda ci porta a dire che:
“le persone giuste sono il vostro patrimonio più prezioso”.
Da questo punto di vista CeMeDi è un risultato interessante per un affinamento continuo di quelle che sono le figure professionali dei vari livelli, verso una collocazione opportuna nel proprio ruolo, con una chiara visione del proprio dovere, con una dedizione che è rara a trovarsi, ereditata da una storia importante per l’Italia e non solo come quella di Fiat e FCA.
CeMeDi deve gestire il futuro con le persone giuste, guardando attentamente alle tecnologie, specie a quelle più innovative.
A tale proposito, tra le molte informazioni che è possibile raccogliere, cito una ricerca su Google per cui il contenuto di un’email, dei post condivisi sui social possono raccontare preoccupazioni e priorità dei cittadini. L’esempio più classico è quello di Derrick de Kerckhove che, nel 2012, proprio grazie all’utilizzo dei Big Data ha scoperto che le persone temevano più lo scoppio di una nuova epidemia che il terrorismo: eccoci nel 2020.
Due concetti per il 2021: tutti (e intendo tutti) si sono trasferiti online. La pandemia Covid ha costretto “a casa” e online anche quelli che in precedenza preferivano agire di persona. I «migranti» sono stati gli anziani e altri che non erano tecnicamente esperti come i Millennials e la Gen-Z.
Di conseguenza, le richieste del servizio clienti in sanità sono aumentate per soddisfare la nuova domanda. Ciò fornisce una nuova opportunità per servire una popolazione diversa, abituata all’interazione umana, personale e che si aprirà a una medicina di complessità e di precisione, con presa in carico dei pazienti e continuità assistenziale socio-sanitaria.

In tale contesto si innesta una figura che negli anni ha assunto un ruolo fondamentale, in quanto è il centro della trasformazione digitale della sanità ovvero l’IT Manager. Lifenet ha puntato su un IT Manager di primissimo livello che ha visto nell’innovazione il futuro digitale dell’azienda. Questa figura è il partner di riferimento nella gestione del parco tecnologico, esempio più classico la Diagnostica per Immagini, perché porta la sanità digitale verso le nuove frontiere del dato, l’ingegneria biomedica, l’innovazione dell’offerta clinica e diventa quindi un acceleratore essenziale nel moderno management sanitario.
Il potenziale dei big data in medicina è enorme e chi sta studiando il settore da anni è convinto che possa effettivamente innovare e migliorare profondamente la sanità. Le ricadute positive saranno, naturalmente, sul paziente. Conoscere un maggior numero di informazioni sul suo stato di salute, infatti, permetterebbe di seguire ciascuno in maniera sempre più personale e “su misura”.

Covid-19 e Object Detection Analytics con Amazon Web Services. Il caso CeMeDi

Nell’epoca pre-pandemia ha pubblicato un libro, edito da Il Sole24Ore, quasi antesignano dei tempi: “Sanità: organizzazione e talento. Dialogo su una convivenza difficile”. Nel complesso scenario di oggi, come gestire e valorizzare il talento all’interno delle organizzazioni?

Dal mio punto di vista le persone di talento sono quelle che fanno la differenza nelle organizzazioni, che lasciano una traccia e si fanno riconoscere. Le persone di talento hanno la capacità di imprimere una svolta e di permeare di sé e della propria personalità l’organizzazione in cui operano.
La capacità di fare la differenza, poi, potrebbe non essere strettamente collegata a un set caratteristico predefinito di qualità insite in una persona, ma potrebbe dipendere dall’incontro di quell’individuo con una certa organizzazione. Viceversa, potremmo anche assumere che i talenti si manifestino indipendentemente dal contesto in cui si trovano, perché un buon talento non è idiosincratico e non è collegato a una situazione specifica, come ho già detto il talento si trasferisce one way.
Per provare a collocare meglio il tema dei talenti in sanità è utile distinguere tra elementi invarianti ed elementi che aiutano a fare la differenza nel complesso mondo di cui specificamente ci occupiamo.
Tra gli elementi che restano fissi, possiamo collocare la curiosità verso quello che sta fuori. Un talento è curioso del mondo e lo percepisce, lo intuisce e ha dalla sua parte delle doti di comprensione immediata. A sua volta, la persona di talento ha la capacità di convincere il mondo. Questo ci porta ad aggiungere altre caratteristiche invariabili del talento: capacità di leadership e di ispirare un alto grado di fiducia, di avere
una funzione di guida e di stimolo per gli altri, di mettersi al centro e di essere un punto di riferimento per il team. E poi ancora: provare un certo gusto per le sfide, porsi degli obiettivi da raggiungere e da superare, essere ambizioso.
Se guardiamo al campo della Sanità e della Salute, ci sono delle caratteristiche specifiche che devono rispondere alla natura di fondo delle sfide che tutte le organizzazioni del settore sono chiamate a vincere: lo squilibrio strutturale tra limitatezza delle risorse da una parte e intensità e ampiezza dei bisogni dall’altra. Così i talenti devono avere la capacità di mettere insieme cose che ad altri possono sembrare impossibili, unire la genialità al rigore, trovare soluzioni originali, riuscire a dominare la contraddittorietà del mondo.
In sintesi, le organizzazioni sanitarie – siano esse pubbliche o private – hanno bisogno di persone di valore che producano differenze e riescano a percepire il mondo esterno per meglio comprendere le necessità di un settore così complesso. Sanità vuol dire persone, etica, valori, speranze, attesa, paura, necessità di servizi equamente distribuiti. Salute vuol dire vita, per tutti
.

Fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile che un nuovo vaccino venisse realizzato, sperimentato e messo a disposizione in meno di un anno. Qual è il suo punto di vista sui mesi che ci aspettano?

L’emergere di vaccini contro il Covid-19 è stato salutato come un elemento rivoluzionario dagli esperti, ma i sondaggi hanno rivelato che la velocità del loro sviluppo e l’approvazione è motivo di preoccupazione per molte persone.
Quanto tempo ci vuole normalmente per sviluppare un vaccino da zero? Tradizionalmente è un processo lento. In una nota del comitato congiunto di strategia per la sicurezza nazionale della camera dei Lord in Ottobre, Sir Patrick Vallance ha affermato che prima di Covid, ci sono voluti in media circa 10 anni per sviluppare un vaccino completamente nuovo, con un processo mai raggiunto prima in meno di circa cinque anni.
Come è stato possibile sviluppare vaccini contro il Covid-19 in meno di un anno? Una considerazione chiave è il finanziamento: denaro pubblico e privato è stato massivamente investito nella corsa per un vaccino Covid, mettendo da parte le solite preoccupazioni finanziarie che devono affrontare le aziende farmaceutiche. Inoltre, la domanda e l’urgenza sono elevate.
Tradizionalmente, i vaccini vengono sviluppati indebolendolo o uccidendo un virus, oppure producendo parte del virus in laboratorio. Tuttavia questo richiede tempo. Invece, entrambi i vaccini dell’Università di Oxford, i.e. AstraZeneca e Pfizer-BioNTech sono stati sviluppati utilizzando diverse “tecnologie di piattaforma” che implicano l’inserimento di materiale genetico dal virus in un pacchetto di consegna collaudato. Una volta introdotto nel corpo umano, questo materiale genetico viene utilizzato dai meccanismi di produzione delle proteine nelle nostre cellule per sfornare la “proteina spike” del coronavirus, innescando una risposta immunitaria.

Questo approccio è stato aiutato dalla velocità con cui gli scienziati in Cina hanno identificato e condiviso la sequenza genetica del nuovo coronavirus e dal lavoro che era già in corso su altri coronavirus. Ma sebbene tali tecnologie di piattaforma siano un approccio non tradizionale, ciò non significa che non siano testate.
“La tecnologia della piattaforma del vaccino mRNA [utilizzata dal vaccino Pfizer / BioNTech] è in fase di sviluppo da oltre due decenni”, ha affermato il dott. Zoltán Kis, dell’Imperial College di Londra.
L’uso di tecnologie di piattaforma non solo significa che un vaccino può essere sviluppato rapidamente e che si sa di più sul suo profilo di sicurezza sin dall’inizio, ma la produzione è più rapida ed economica in quanto possono essere utilizzati alcuni processi di produzione esistenti. Un’altra considerazione è che mentre nello sviluppo dei vaccini tradizionali le fasi delle sperimentazioni cliniche sono svolte in sequenza, nel caso dei vaccini Covid si sono sovrapposte, rendendo il processo più veloce.
Infine, i progressi della tecnologia hanno semplificato la registrazione dei dati, mentre l’avvento dei social media ha reso più facile reclutare i partecipanti alla sperimentazione, qualcosa aiutato da un forte desiderio pubblico di dare aiuto. “Normalmente ci vogliono settimane o mesi per reclutare uno studio. Questo è successo dall’oggi al domani “, ha detto il prof. Adam Finn, esperto di vaccini presso l’Università di Bristol e ricercatore delle sperimentazioni Oxford / AstraZeneca.

E l’approvazione? Nel caso dei vaccini Covid-19, il processo è stato accelerato da quella che è nota come “revisione continua”, con le informazioni rilasciate agli enti regolatori non appena acquisite. “La revisione progressiva è una cosa molto innovativa“, ha affermato Evans, osservando che le aziende normalmente aspettano di presentare una domanda fino a quando tutti i dati non sono disponibili perché il processo di approvazione è costoso e rischioso per loro.

L’anno passato entrerà nei libri di Storia, lasciando una pesante eredità ai più giovani, fatta di trasformazioni dei modelli tradizionali e importanti conquiste di Scienza e Tecnologia. Da padre, oltre che dirigente e medico, su quali aspetti pensa debba essere alimentata la fiducia nei più giovani?

Ad un anno dal Febbraio 2020, è evidente che “la sopravvivenza a breve termine è, per alcune organizzazioni, l’unico punto all’ordine del giorno. Altri stanno scrutando nella nebbia dell’incertezza, pensando a come posizionarsi una volta che la crisi sia passata e le cose tornino alla normalità.
La domanda è: “Che aspetto avrà la normalità?” Queste parole sono state scritte 12 anni fa, durante l’ultima crisi finanziaria globale. Suonano vere oggi, ma semmai sottovalutano la realtà che il mondo sta attualmente affrontando. Anche se nessuno può dire quanto durerà la crisi, ciò che troveremo non sembrerà assimilabile al concetto di normalità degli ultimi anni.
Ciò di cui i leader hanno bisogno durante una crisi non è un piano di risposta predefinito ma comportamenti e mentalità che impediscano loro di reagire in modo eccessivo agli sviluppi di ieri e li aiutino a guardare avanti. In questa situazione di crisi, l’istinto di un leader potrebbe essere quello di consolidare l’autorità decisionale e di controllare le informazioni, fornendole in base alla necessità. Fare il contrario incoraggerà i team e darà la sicurezza psicologica in modo che le persone possano discutere apertamente di idee, domande e preoccupazioni senza timore di ripercussioni.
Nella routine, l’esperienza è forse la qualità più preziosa che i leader portano. Ma nelle crisi gravi, su scala così vasta, affiorano nuove qualità tra cui mi piace citare la “calma deliberata”, la capacità di staccarsi da una situazione difficile e pensare chiaramente a come si navigherà. La calma deliberata si trova più spesso in individui ben radicati che possiedono umiltà associata a dedizione e senso del dovere.

Un’altra qualità importante si manifesta come “ottimismo delimitato” o fiducia combinata con realismo. All’inizio di una crisi, se i leader mostrano una fiducia eccessiva nonostante le condizioni ovviamente difficili, possono perdere credibilità. È più efficace per i leader proiettare la fiducia nell’organizzazione per superare la crisi, ma anche mostrare che riconoscono l’incertezza dovuta alla stessa.
Ai miei figli e ai giovani va il pensiero più forte e mi confronto con loro pensando a chi deve affrontare meno opportunità di sviluppo professionale, livelli salariali più bassi, prospettive più scarse di posti di lavoro migliori.

Gli effetti economici della pandemia aggravano la vulnerabilità esistente dei giovani nei mercati del lavoro, poiché hanno maggiori probabilità di lavorare in impieghi non standard, come il lavoro temporaneo o part-time, affrontando un rischio maggiore di perdita di lavoro e di reddito.
Ho due figli che hanno saputo inserirsi nel mondo del lavoro con autonomia, capacità di scelta e di trovare ambienti che possano essere per loro favorevoli. In questa fase li ho incoraggiati a pensare ancora di crescere e porsi nuovi obiettivi ad ogni costo. Sono stato al loro fianco, senza trasmettere incertezza anzi sottolineando come le loro scelte, prese in assoluta autonomia, siano state giuste.
Con loro e con alcuni coetanei ho condiviso i timori di una ” generazione perduta” che deve affrontare le incertezze del mercato del lavoro. Alla luce delle situazioni di tensione nel mondo del lavoro abbiamo il dovere di concentrare la nostra attenzione e le nostre menti per ottenere la giusta risposta economica, sociale e aiutare i giovani ad avere fiducia nel futuro.


Franco Perona è CEO, Chief Medical Officer (CMO) di CeMeDi, centro medico ambulatoriale e diagnostico, da oltre 70 anni punto di riferimento per l’assistenza sanitaria dei Gruppi Fiat Chrysler Automobiles, CNH Industrial e non solo. Franco Perona ricopre inoltre il ruolo di CEO e CMO presso Centro Medico Visconti, EyecareClinic ed è Chief Medical Officer di Lifenet Healthcare, gruppo che opera nel settore della salute con attività ambulatoriali ed ospedaliere, e che offre servizi di consulenza strategica e operativa a investitori istituzionali e operatori industriali. Oggi il Gruppo Lifenet Healthcare è leader in Italia per i servizi di consulenza per la sicurezza sui luoghi di lavoro in tempi di Covid.


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